Maschi contro femmine

Rivalità tra i banchi di scuola

I maschi, si sa, credono sempre di avere ragione e le femmine sono decisamente delle pettegole. Così la pensano Laura, Alberto e tutti i loro compagni di classe che, con frasi schiette e fin troppo sincere, ci raccontano la quotidianità della loro classe e la continua fatica nel condividere gli stessi spazi, andare d’accordo ed essere amici. Il libro Maschi contro femmine edito da Edizioni Lapis e scritto da Mariapia De Conto fa luce su un argomento molto diffuso e mai fuorimoda: i conflitti e le rivalità tra i compagni di classe.

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Come sappiamo, la scuola non è solo uno spazio di apprendimento, ma è anche un luogo di condivisione e convivenza. Questo, può causare l’insorgere di incomprensioni e disaccordi che possono portare a veri e propri conflitti che devono essere affrontati e superati per rendere quanto più piacevole possibile la quotidianità scolastica. In classe ci possono essere conflitti tra insegnanti e alunni e tra gli stessi alunni ma, in entrambi i casi, questi possono influire in modo diretto sul progresso della classe e sul processo di apprendimento.

Nonostante non esista una formula segreta per risolvere questi problemi, dal momento che il contesto e le persone sono diversi in ogni situazione, ecco alcuni consigli efficaci per gestire i conflitti in classe:
💡Costruire un clima scolastico positivo;
💡Curare il quotidiano attraverso attenzione e ascolto;
💡Studiare il conflitto: non tutto è bullismo;
💡Pensare ad interventi di tipo preventivo e percorsi di sviluppo socioaffettivo;
💡Collaborare con la famiglia e chiedere il supporto a psicologi con esperienza nel settore.

Approfondiamoli insieme

  • Costruire un clima scolastico positivo: attraverso l’attenzione al gruppo e alle sue dinamiche si può permettere a bambini e ragazzi di incontrare il proprio mondo affettivo in contesti di gruppo, cosa che succede in una classe scolastica. Insegnanti ed educatori si devono porre come valido modello attraverso l’esempio e devono prendere sul serio tutti gli aspetti della vita degli alunni, senza negare quello dei conflitti. Lo stile educativo da adottare deve essere autorevole, incoraggiante e coinvolgente. Sono importantissime tutte le scelte che mirano all’apprendimento cooperativo, che permettono agli studenti di imparare a sostenere senza rivalità ed antagonismo il proprio punto di vista con la disponibilità e capacità di recepire e accettare le prospettive altrui.
  • Curare il quotidiano attraverso attenzione e ascolto: é fondamentale comunicare apertamente la disapprovazione di tutte le condotte aggressive. Parlarne apertamente comunica ai ragazzi un messaggio importante: la violenza, le prevaricazioni grandi o piccole, la sofferenza, meritano attenzione, non sono situazioni “normali” ed inevitabili che devono essere affrontate con superficialità. L’attenzione non si manifesta denigrando o punendo l’artefice dei comportamenti conflittuali ma mediante l’ascolto e attraverso la valorizzazione delle capacità di ciascuno, attuando controllo e vigilanza solo per la responsabilizzazione degli alunni e renderli più consapevoli.
Illustrazione che si trova all’interno del libro
  • Studiare il conflitto: non tutto è bullismo. Semplicistiche ed ambigue definizioni di bullismo sono spesso proposte come chiave interpretativa di ogni comportamento minimamente aggressivo o trasgressivo da parte dei ragazzi. È necessario studiare e lavorare per acquisire maggiori capacità di comprensione e collegamento tra cause (stati d’animo, avvenimenti, sofferenze, atteggiamenti, comportamenti, ecc.) ed effetti (sofferenza, possibile sanzione, stigma, ecc.).
  • Pensare ad interventi di tipo preventivo e percorsi di sviluppo socioaffettivo: per prevenire determinate dinamiche, può essere importante costruire spazi dedicati alla comunicazione e all’espressione delle proprie emozioni come l’attività di circle time. Questa può essere utile per contenere e incanalare determinati sentimenti, permettendo lo sviluppo di capacità di pensiero riflessivo e di autocontrollo, per frenare il dilagare di azioni impulsive. Gli studenti impareranno a riconoscere e ad esprimere i loro sentimenti, partendo dal renderli dicibili e nominabili, anche quelli negativi o difficili da accettare.
  • Collaborare con la famiglia e chiedere il supporto a psicologi con esperienza nel settore: per poter attuare un intervento che sia vincente, spesso può essere utile usufruire di un intervento di una figura professionale esterna. Lo psicologo, essendo al di fuori delle dinamiche interne della classe che, riguardano anche i docenti, potrà lavorare in maniera più approfondita e professionale cercando di comprendere, affrontare e ristabilire il giusto equilibrio tra tutte le parti coinvolte. Ovviamente, qualsiasi intervento dovrà essere concordato e supportato anche al di fuori delle mura scolastiche attraverso il supporto e il sostegno della famiglia o chi si prende cura del minore.

Le femmine pettegole illustrate nel libro

Cosa avrà fatto la maestra di Laura e Alberto per risolvere la situazione? Forse sarà proprio un’ingiustizia a far superare i luoghi comune e a far riscoprire l’unione della classe. Vi consigliamo la lettura di questo libro per sensibilizzare maggiormente i bambini e i ragazzi sul tema del conflitto e dell’immenso valore della socializzazione.

Il nostro primo Webinar

“Le violazioni del setting”

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💻 Per tutti gli altri: Psicoleggimi ha programmato il suo primo webinar!

🗓 Si terrà il 3 novembre alle ore 19, sarà gratis ed è aperto a tutti, psicologi e non! Quindi, se pensate di non far parte della professione, non temete perché sarà alla portata di professionisti, ma anche di chi si vuole avvicinare alla psicologia per la prima volta o è solo curios*. Il nostro esordio, infatti, sarà su un tema un po’ fuori dal comune: le violazioni del setting!

Ma di cosa stiamo parlando?

🕰 Le violazioni del setting sono tutte quelle situazioni in cui un terapeuta si trova a violare i confini del setting terapeutico, ossia quella linea di demarcazione che rende l’ora di terapia uno spazio in cui, sia paziente che terapeuta, possono sentirsi a loro agio. Quando possiamo parlare di violazione del setting? C’è un modo per prevenirle?

❔Risponderemo a queste domande, e a tante altre, durante il nostro Webinar. Se volete iscrivervi, basta cliccare sul link di iscrizione qui.

Ci sarete? Per qualsiasi domanda e informazione, siamo qui.

Io ci sarò

Settembre e il rientro a scuola

La scuola sta per cominciare e moltissimi bambini inizieranno o continueranno il loro cammino verso l’autonomia. Quando si parla di educare all’autonomia non si intende lasciare soli i più piccoli nello svolgimento di un’attività, ma, al contrario, vuol dire accompagnarli, passo dopo passo, lungo il processo di acquisizione e sviluppo delle proprie competenze e capacità. Per questo motivo il ruolo dei caregiver diventa prezioso e anche molto delicato.

A partire da quando il bambino mostra di saper fare alcune cose da solo, come mangiare, mettere in ordine, lavarsi le mani, il genitore può smettere di fare per lui alcune cose e lasciare che le faccia da solo, guidandolo da lontano e complimentandosi con lui per la volontà di provarci, festeggiando i suoi piccoli traguardi. Questo consentirà al bambino di acquisire nel tempo competenze pratiche, ma anche cognitive ed emotive, come prendere decisioni, essere responsabile e sentirsi sicuro di sé.

Il bambino protagonista del libro Io ci sarò, di Ann Stott e Matt Phelan, edito da PulceEdizioni, ci fa riflettere su questo tema ponendo una domanda molto importante alla mamma: “Ti prenderai ancora cura di me quando sarò grande?” a dimostrazione del fatto che i bambini amano l’idea di crescere ed essere indipendenti, ma hanno bisogno di sapere che le figure di riferimento ci saranno sempre per loro.

La parte davvero difficile da gestire per il genitore, maestra, educatore o altre figure di riferimento è quella di accettare che non tutti i bambini sono pronti allo stesso momento. Facendo un esempio banale, molti bambini cominciano a camminare ad un anno mentre altri qualche tempo dopo, ecco, questo può valere anche per tutto il resto. Non ci sono step fissi, non ci sono regole. Esiste solo il bambino, il suo naturale sviluppo nel tempo, i suoi bisogni e la nostra giusta capacità di ascolto.

È importante che il caregiver sia realista rispetto alle attività che il bambino può fare e che rispetti il suo livello di sviluppo, che cerchi di incoraggiare anziché imporre l’attuazione delle piccole autonomie.

Ecco quindi alcuni punti che possono aiutare:

Essere realistici: ogni bambino è diverso. Bisogna lavorare su quello per cui è pronto ad affrontare. Il resto aspetterà.
Creare un ambiente favorevole e una routine: fare in modo che il bambino riesca a raggiungere e prendere gli oggetti di cui ha bisogno per portare avanti alcuni compiti in autonomia. Per esempio: dotare il bagno di un panchetto che gli permetta di lavarsi le mani da solo, poter prendere facilmente il sapone, lo spazzolino o l’asciugamano. Questo lo farà sentire soddisfatto e più stimolato ad agire in futuro. Seguire una routine aumenterà in lui il senso di sicurezza in quello che deve fare, rispettando momenti prestabiliti.
Incoraggiateli e sosteneteli: cercate di non fare diventare frustranti questi momenti perché potreste avere il risultato opposto. Se il bambino si sentirà sostenuto e incoraggiato, anche davanti ad un errore, non avrà paura di provarci in futuro e non si sentirà costretto o frustrato davanti ad un compito che sta imparando.
Siate i loro modelli: ricordate sempre che loro imparano anche quando credete non vi stiano guardando. Se saprete dare loro il giusto esempio di comportamento, magari svolgendo gli stessi compiti nello stesso momento, saranno bravissimi a seguirvi e imitarvi.

La lettura di questo albo può aiutare i più piccoli, che si trovano in questa fase, a prendere coscienza di non essere soli, a capire di saper fare molte cose in autonomia ma che, se ci dovesse essere bisogno, qualcuno sarà sempre lì a proteggerli.

Il cervello elettrico di Simone Rossi

Le sfide della neuromodulazione

“Da piccolo, sono incappato negli effetti della corrente anche in un altro modo, meno diretto ma sicuramente non meno efficace nel lasciarmi qualche cicatrice, questa volta però non sulle mani ma ben nascosta da qualche parte nel mio cervello”. Le parole di Simone Rossi nella premessa di “Il cervello elettrico” ci hanno subito colpito.

Ci sentiamo vicini a lui, un professore di Neurofisiologia all’università di Siena nonché un esperto internazionale di studi funzionali sul cervello e di neuromodulazione non invasiva, perché anche lui, come una di noi, si è avvicinato al mondo della “neuro” grazie a Oliver Sacks e al suo libro “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello”, di cui vi abbiamo parlato tante volte.

Che cos’è la neuromodulazione?

Il prof. Rossi ci spiega che, con questo termine, si intende l’applicazione invasiva e non invasiva di deboli correnti elettriche a zone ben definite del cervello in modo da poter interagire con l’attività elettrica dei neuroni, modificandola in modo transitorio, o più prolungato lì dove ci sia in atto un trattamento terapeutico di patologie neurologiche e psichiatriche i cui sintomi sono curabili sono con farmaci.

Nell’ambito della neuromodulazione in dieci anni sono stati fatti progressi fondamentali. Basti pensare che con un intervento che Il Dottor Rossi utilizza a Siena, che si chiama elettrostimolazione cerebrale profonda o dbs (Deep Brain Stimulation), è possibile posizionare degli elettrodi in particolari strutture del nostro cervello, che migliorano alcuni sintomi di tipo motorio, ad esempio il Parkinson. La neuromodulazione non invasiva ha una efficacia paragonabile a quella di alcuni farmaci, in sindromi sia di tipo psichiatrico come la depressione farmaco-resistente, oppure anche in ambito neurologico stesso per esempio nel trattamento del dolore neuropatico cronico.

Rimanendo nel mondo del Parkinson…

Insieme al professore Domenico Prattichizzo dell’Università di Siena di ingegneria, i due professori hanno ideato delle cavigliere vibranti applicate alle caviglie destra e sinistra del paziente parkinsoniano che, con l’avanzare degli anni della malattia, ha un problema chiamato freezing della marcia, si congela in un posto e non riesce a muovere in avanti le proprie gambe. Con questi stimoli sensoriali, alternati a destra e sinistra, che il paziente riceve dalle cavigliere e che comanda grazie ad una app dal telefono, si ristabilisce la funzionalità di alcuni circuiti motori che controllano il movimento e questo problema può essere risolto.

All’interno del libro si parla anche di un termine di neuro che non spesso viene usato. Si tratta di oscillopatia. Esistono, infatti, strette relazioni fra attività oscillatoria cerebrale, vari stati comportamentali nel soggetto sano e i sintomi di alcune malattie neurologiche e psichiatriche. infatti, ciascun pattern di attività neuronale é espressione della specifica architettura funzionale di circuiti neuronali locali, all’interno dei quali avviene continuamente la somma di tutte le attività sinaptiche, eccitatorie e inibitorie.

I nostri network neurali, per comunicare fra di loro, utilizzano una debole attività elettrica autoprodotta (quella che viene comunemente chiamata elettroencefalogramma) composta di segnali più o meno sinusoidali che hanno un periodo variabile di oscillazioni al secondo. Sappiamo ormai con certezza che queste oscillazioni elettriche variano in rapporto a stati fisiologici differenti (veglia, diverse fasi del sonno) ma anche a stati patologici (per esempio, nella morte cerebrale non si rileva attività oscillatoria).

In un’intervista, Simone Rossi ha dichiarato: “Senza arrivare ad un caso così estremo, è ormai chiaro che alcune patologie, sia neurologiche che psichiatriche, sono accompagnate da variazioni loco-regionali di questi ritmi cerebrali, in aree o network abbastanza specifici. Per esempio, nella malattia di Parkinson prevale l’attività in banda beta (oscillazioni a circa 20 cicli/secondo) nelle regioni deputate al controllo del movimento, e la correzione -tramite neuromodulazione, ma anche farmacologica- di questa attività eccessiva può portare alla correzione dei sintomi motori. Un altro esempio classico di oscillopatia è l’epilessia, che è rappresenta da scariche elettriche anomale, che possono essere localizzate o diffuse: quando si trova la terapia adatta, questa attività elettrica patologica tende a scomparire. Anche in psichiatria cominciano ad emergere sindromi cliniche legate a disfunzioni di particolari ritmi cerebrali, su tutte la schizofrenia e il disturbo da deficit di attenzione ed iperattività, meglio conosciuto come ADHD.”

Il libro è per esperti e non: al suo interno ci sono capitoli teorici di spiegazione sulle basi del cervello e la sua funzionalità, pillole fisiologiche sul SNC, un approfondimento sulle malattie neurologiche e psichiatriche e una spiegazione dettagliata, con tanto di immagini e glossario, proprio sull’uso pratico della neuromodulazione.

Noi speriamo di avervi incuriosito e di avervi convinto a non farvi scappare questa lettura! ☺️

“L’arte di legare le persone”

Incontro con Paolo Milone per il GDL di Maggio

Il 26 Maggio si è svolta la discussione del Gdl del mese. Il libro che abbiamo letto è L’arte di legare le persone di Paolo Milone. In questo articolo cerchiamo un po’ di raccontarvi chi è Milone e com’è andato il nostro incontro con l’autore.

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Dopo aver avuto la possibilità di fare un incontro su Meet a Febbario con Daniele Mencarelli (clicca qui per rileggere com’è andata), anche questa volta, grazie all’aiuto di Giulia della casa editrice Einaudi Editore, abbiamo avuto l’onore di avere come nostro ospite lo stesso Milone. 

Ma chi è Paolo Milone?

Prima di tutto ci teniamo a sottolineare che non nasce scrittore, bensì psichiatra ed ha lavorato per circa 40 anni nei servizi di psichiatria d’urgenza. Ora che è in pensione ha raccolto in un libro alcune sue riflessioni e appunti grazie ai quali ci ha permesso di entrare con lui nel “reparto 77” di un ospedale di Genova e di conoscere i suoi pazienti.

Dire che eravamo emozionate è un eufemismo! Nei giorni precedenti alla discussione abbiamo raccolto le domande e le curiosità dei nostri psicolettori che, come ogni volta, sono stati super partecipi ed entusiasti. Le domande sono state molto interessanti perché si riferivano sia al libro che alla professione di psichiatra, per allargarsi poi alla letteratura e al confronto con la psicologia e la psicoterapia. 

Una lettrice, in seguito all’incontro, ci ha detto che ha assolutamente cambiato idea sul mondo degli psichiatri. Ci ha confessato che li ha sempre immaginati “matti” più dei pazienti. Di base, uno non sa mai bene cosa aspettarsi quando si parla di psichiatria, ma le stereotipie e i taboo sono davvero ancora tanti.

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Ci siamo soffermati un po’ proprio su questo argomento con Paolo Milone, e ci teniamo a riportarvi le sue parole sulla malattia mentale: “Nel mio libro prendo una cosa familiare e una non familiare e le rendo simili. Cerco di far capire la consapevolezza del disturbo per uscire dalle retoriche e fai concetti vuoti di follia, malattia mentale e normalità. Bisogna capire come fare, noi ci viviamo in mezzo e non dobbiamo chiudere gli occhi. Dopotutto, tutti abbiamo qualche pasticcetto, bisogna accettarlo senza fare tanti discorsi. Dobbiamo essere più concreti.”

La diagnosi, quella “cosa” che fa paura

Si è parlato tanto di diagnosi, di cosa un paziente si aspetta, di quello che un medico fa per lui – e per se stesso. Non sono stati argomento facili, ma la naturalezza dello scrittore-psichiatra ha reso tutto comprensibile anche a chi non è del mestiere.

Una parte del libro che ha messo tutti d’accordo è stata quella relativa al suicidio. Non è facile raccontare cosa vuol dire avere a che fare con una persona che entra in reparto e che, magari, ha già avuto, più d’un una volta, comportamenti suicidari e non sai bene neanche te, te professionista, se quella persona vuole essere salvata o solo ascoltata. È quello che succede tra Milone e Lucrezia, una giovane paziente che, purtroppo, lascia i racconti troppo presto. 

Lucrezia c’è, è presente nel libro, è presente nei ricordi di Milone e nel suo senso di colpa, perché “è più facile far parlare il senso di colpa, a volte, che il personaggio stesso.” Ed è qui che è arrivato un consiglio per noi davvero prezioso, per tutti noi che facciamo questa professione (ma, se apriamo la mente, anche per chi non la fa) ed è il seguente: “Siete professionisti giovani, fate ancora vivere il senso di colpa nel vostro lavoro, perché solo vivendolo imparerete a lasciarlo andare.”

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Un altro punto forte dell’incontro sono state sicuramente le letture fatte dallo stesso Milone che ci hanno permesso di immergerci ancora di più nel suo mondo e di capire ancora meglio come si è sentito durante i suoi anni di lavoro. Essendo un libro particolare – Milone ha proprio ripreso i mano i suoi appunti e le sue cartelle cliniche e ha rimesso per iscritto i suoi pensieri post colloqui, i suoi stati d’animo e le sue emozioni, le sue nottate in bianco e la “pazienza di mia moglie” – ascoltarlo leggere determinati pezzi è stato interessante e ha cambiato anche il senso del per alcuni di noi.

Infine, ma non per questo meno importante, si è parlato del titolo e di cosa vuol dire legare le persone. Anche questa volta vi riportiamo le sue parole: “Legare le persone in reparto è solo lo 0,5% del mestiere. In reparto c’è tant altro. Ci sono i colleghi a cui passi i pazienti con cui non riesci a lavorare (personalmente sono stati sempre i pazienti con i disturbi alimentari), ci sono colloqui da affrontare, diagnosi da elaborare che vorresti non leggere, ma soprattutto in reparto si parla tanto. Con il paziente si parla perché siamo umani, noi professionisti per primi.” 

Ci siamo salutati augurandoci di vederci di persona un giorno e uscendo da questo incontro tutti più arricchiti. Noi ci teniamo a ringraziarvi anche qui per la fiducia che ogni volta ci date.

Ci si legge a Giugno!